Tuesday, December 26, 2006

O como mierda se llame

A veces
me gustaría ser una buena muchacha
bonachona, campechana, gorda,
capaz de sentarme
bajo el sol en mi piel
rica en melamina, en calor y en color.

Tomar una gaseosa provinciana
cuidando de no manchar con nada mi ancha falda.

Tener un corazón enorme
y puro como el de un caballo.

Lavar la ropa de todos con mis ásperas manos.
O, si no,
ser alguna de aquellas mujercitas
siempre sentaditas, inclinaditas
sobre su tejido, y haciendo punto,
calceta, o como mierda se llame.

Montserrat Álvarez
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Wednesday, December 20, 2006

Pierio Valeriano y ¿un modismo?

"En el artículo: “Ora un principal geroglifico appresso gli Egiziani era questo del cervo, che volendo significare questa cecità di giudizio dipingevano il cervo allettato dalla zampogna, accioché se cotali lacci ne fosser tesi, sapesse l’uomo d’ingegno quello che dovesse principalmente fuggire”.
En el original: “Præcipuum verò Cerui effe hieroglyphicu~ apud Aegyptios, vt fi hanc iudicij captiuitate~ indicare vellent, Ceruu~ fiftula illectu~ pingerent: vt fi quæ huiufmodi tendiculæ pararentur, haberet fcitus homo quod fibi proponerte præcipuè fugiendum”. "

Traduje en el texto:

“Ya uno de los principales jeroglíficos y más apreciados por los egipcios era el del ciervo, que cuando querían significase la ceguera de juicio, dibujaban con una zampoña, para que preparando las tiendas, supiese el hombre de ingenio aquello de lo que primeramente debía alejarse” (Savarese-Gareffi, pp. 92-93) .

La frase: "ut fi quæ huiufmodi tendiculæ pararentur" ofrece un problema de traducción que intenté resolver por analogía. La frase entera nos habla de ciervos que eran dibujados con zampoñas, o flautas de carrizo atadas en grupos. El uso de tales flautas era más que nada en ocasiones en que era necesaria una demostración extraordinaria de júbilo, pensemos en alguna actividad popular, como una fiesta o carnaval. Intuyo que el uso de este instrumento era con la intención de causar el mayor ruido posible, aunque fuese 'ruido musical'. En el caso del símbolo del ciervo, escurridizo por naturaleza, y veloz, cambiaría su carácter primero de ser escurridizo y precavido por el de heraldo, nuncio de peligros. El hombre de ingenio, es decir, aquel que concede preeminencia a la razón sobre la pasión, alcanza con el paso del tiempo un estado de tranquilidad y seguridad, que le hacen 'instalarse', en una situación determinada. De allí que, 'preparando las tiendas' tenga precisamente el sentido de movimiento con causas externas, es decir, movimiento debido al anuncio de la llegada de fuerzas contrarias al estado actual de las cosas. El hombre de ingenio, por tanto, sabe interpretar [debería saber interpretar] los signos, siendo el de la zampoña tocada por un ciervo, el indicador de un peligro del que resultaría lo más pertinente alejarse de inmediato.

Lo curioso de la sintaxis me hizo pensar que se trata, efectivamente, de un modismo rescatado de alguna lectura o tradición hoy oscuras, por Pierio Valeriano.

Greg.

P. S.: Ni qué decir que me fuí directamente al original, en latín, brincándome la traducción del texto que hizo F. Calitti. Resulta igual de oscuro en italiano: "accioché se cotali lacci ne fosser tesi" es una frase que todavía me resulta imposible traducir.
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Pierio Valeriano por Floriana Calitti

Es una de las obsesiones [y razones] para que no me olvide del latín que comencé a balbucear en 1989. Con el deseo de compartir con los interesados algunas noticias que he ido recopilando a lo largo de los últimos 14 años, comencé un pequeño espacio en geocities, que se puede consultar en este enlace:

http://www.geocities.com/gregorovivs/pierio/pierioresourcecenter.htm

Allí traduje una nota de Floriana Calitti.

El original puede consultarse en:

http://www.italica.rai.it/rinascimento/cento_opere/valeriano_hieroglyphica.htm

Gli Hieroglyphica di Valeriano (il titolo completo dice: "Geroglifici, ossia commentari sulle sacre lettere degli Egiziani e di altri popoli"), vera enciclopedia antiquaria di immagini simboliche in cinquantotto libri, hanno una storia editoriale tormentata: pubblicati per la prima volta a Basilea presso Michele Isingrino nel 1556, con dedica a Cosimo de’ Medici, sono di nuovo stampati nel 1567, ancora a Basilea (presso Tommaso Guarino), in una versione accresciuta di due libri di più evidente ispirazione neoplatonica, composti da Celio Agostino Curione, figlio del celebre umanista erasmiano Celio Secondo. L’opera, con l’appendice di Curione, divenuta ormai inseparabile dal testo originario, ebbe una diffusione amplissima tra il Cinquecento e il Seicento, e fu più volte ripubblicata, tradotta in italiano, francese, tedesco (circa 34 edizioni nelle varie lingue).
Particolarmente fortunata la traduzione italiana a opera di alcuni letterati senesi e Accademici Intronati, come Bellisario Bulgarini (secondo libro) e Scipione Bargagli (quarto libro), edita a Venezia presso Giovanni Antonio e Giacomo de’ Franceschi nel 1602, con il titolo di Ieroglifici overo commentari delle occulte significazioni degli Egizzi e d’altre nationi. Il mutato clima spirituale e culturale impose, però, significative modifiche al testo: il nome del dedicatario del secondo libro di Agostino Curione, l’eterodosso Theodor Zwinger, fu infatti sostituito dall’ "eccellentissimo medico e filosofo" Agostino Gadaldino. Manca una edizione moderna dei Hieroglyphica: alcuni brani sono antologizzati nell’antologia curata da Gennaro Savarese e Andrea Gareffi, La letteratura delle immagini nel Cinquecento, Roma, Bulzoni, 1980.
Il lento ma costante crescere e costituirsi del corpus iconologico di Valeriano si lega all’interesse diffuso, negli ambienti culturali neoplatonici, per gli Hieroglyphica di Orapollo editi per la prima volta a Venezia nel 1505 da Aldo Manuzio. L’ideazione ed elaborazione dell’opera avvenne in gran parte nella Curia romana, dove l’autore visse gli anni decisivi delle sue scelte e dei suoi progetti letterari, tra il 1510 e il 1530. Sono presenti, infatti, diversi accenni alla cabala e al ruolo di iniziatore e maestro che svolse a Roma in questa disciplina il cardinale agostiniano Egidio da Viterbo. La stessa interpretazione simbolica delle favole antiche, custodi di una sapienza riposta, come il mito di Orfeo divenuto immagine di Cristo, viene elaborata da Pierio Valeriano sul fondamento dell’ermetismo di Egidio.
Ogni libro degli Hieroglyphica, introdotto da una lettera di dedica a un personaggio di rilievo della cultura contemporanea, svolge una trattazione organica sul significato simbolico di oggetti, pietre, piante, animali, figure geometriche, numeri, attributi mitologici, espressioni dell’uomo e fenomeni della natura, opportunamente scelti in relazione al dedicatario.
A Egidio da Viterbo, a esempio, è indirizzato il libro XVII, relativo alla cicogna, simbolo di pietà e vigilanza; a Achille Bocchi il VII, sul cervo, nel quale riallacciandosi ad una discussione avuta proprio con Bocchi su quella specie di uomini che invece di apprezzare gli amici sinceri è piuttosto sensibile agli adulatori, scrive: "Ora un principal geroglifico appresso gli Egiziani era questo del cervo, che volendo significare questa cecità di giudizio dipingevano il cervo allettato dalla zampogna, accioché se cotali lacci ne fosser tesi, sapesse l’uomo d’ingegno quello che dovesse principalmente fuggire" (Savarese-Gareffi, pp. 92-93). Ancora: a Iacopo Sannazaro è dedicato il libro XX sulla fenice, con una interessante allusione all’immortalità della poesia latina; a Sadoleto il XXI, sullo sparviero simbolo della rapacità che dilaga in tutta Europa, ma che colpisce la corte pontificia in particolare; a Vittoria Colonna il XXII, sulla colomba, simbolo di vedovanza fedele; ad Angelo Colocci il XXIII, sul cigno, che, secondo il mito di Er, nella repubblica platonica, è l’animale in cui si reincarna Orfeo, e quindi diviene metafora di canto poetico.
Nel dare sistemazione organica a un vastissimo materiale, attinto dai più disparati campi, Valeriano mirava a creare un linguaggio costituito di sole immagini, confondendo il significato del geroglifico egizio con quello del simbolo, in senso morale o emblematico. Nella sua sintesi enciclopedica rivivono le pagine di Orapollo accanto alle opere naturalistiche, storiche e geografiche di Aristotele, Eliano, Solino, Pausania, Plinio il Vecchio. Lo sforzo combinatorio dell’umanista sembra voler unire, in un vero e proprio universo simbolico fittizio, tutto il mondo antico da Theuth a Claudiano, da Ermete Trismegisto a sant’Agostino, mediante un "discorso muto da concepirsi con la mente attraverso le immagini delle cose" ("mutam quandam orationem per rerum imagines mente concipiendam").
La fortuna dell’opera si iscrive all’interno dell’enorme sviluppo che la letteratura e teoria delle immagini ebbe nel corso del secolo (una particolare diffusione con la trattatistica legata alle imprese e agli emblemi), divenendo veicolo straordinariamente veloce ed efficace di problematiche religiose, morali e politiche.
Un’attenzione particolare aveva meritato da Erasmo l’"aenigma sententiae" ("l’enigma dell’espressione"): « Se qualcuno conosceva e penetrava profondamente le proprietà delle singole cose, l’essenza e natura particolare di ciascun animale, costui alla fine, messe insieme le congetture di quei simboli, coglieva il senso segreto dell’espressione» (Erasmi Roterodami, Proverbiorum, Ferrariae, 1514, p. 154).

Floriana Calitti

Los Hieroghlyphica de Valeriano (el título completo reza: “Jeroglíficos, o comentarios sobre las letras sagradas de los Egipcios y de otros pueblos”), verdadera enciclopedia de antigüedades en cincuenta y ocho libros, tienen una tortuosa historia editorial: publicados por primera vez en Basilea por Michele Isingrino en 1556 y dedicados a Cosme de Médicis, fueron impresos nuevamente en 1567, también en Basilea (por Tomás Guarino), en una versión aumentada con dos libros de evidente inspiración neoplatonica, compuestos por Celio Agostino Curione, hijo del célebre humanista erasmiano Celio Secondo. La obra, con el apéndice de Curione que se tornó inseparable del texto original, tuvo una difusión amplísima en el Cinquecento y el Seicento, y fue reimpresa con frecuencia, mayormente traducida al italiano, francés, tudesco (alrededor de 34 ediciones en varias lenguas).
Particularmente afortunada fue la traducción italiana de la obra por algunos literatos sieneses pertenecientes a los Accademici Intronati, como Belisario Bulgarini (segundo libro) y Giacomo d’ Franceschi en 1602, con el título de “Ieroglifici overo commentari delle occulte significazioni degli Egizzi e d’altre nationi”. Se impuso el ambiente cambiante espiritual y cultural, que modificó el texto significativamente: el nombre del destinatario del segundo libro de Agostino Curione, el heterodoxo Theodor Zwinger, fue por esa causa sustituido por el del “excelentísimo médico y filósofo” Agostino Gadaldino. Carecen los Hieroglyphica de una edición moderna: algunos fragmentos han sido incluidos en la antología al cuidado de Gennaro Savarese y Andrea Gareffi, La letteratura delle immagini nel Cinquecento, Roma, Bolzani, 1980.
El crecimiento lento aunque constante del establecimiento del corpus iconográfico de Valeriano se liga al interés difuso, en el ambiente cultural neoplatónico, por los Hieroglyphica de Horapollo editados por vez primera en Venecia en 1505 por Aldo Manucio. La idea y elaboración de la obra se produjo en parte en la Curia romana, donde el autor vivió los años decisivos de sus obras y proyectos literarios, entre 1510 y 1530. También estuvieron presentes en ese tiempo sus diversas aproximaciones a la cábala, bajo el cardenal agustiniano Egidio de Viterbo, quien se había vuelto un maestro de esta disciplina en Roma, asumiendo el rol de iniciador. La misma interpretación simbólica de las fábulas antiguas, guardianas de una sabiduría rescatada, como el mito de Orfeo representando la imagen de Cristo, fue abordada por Piero Valeriano sobre el fundamento del hermetismo de Egidio.
Todos los libros de los Hieroglyphica comienzan con una carta introductoria dedicada a un personaje relevante en la cultura contemporánea, seguida de un tratado orgánico sobre el significado simbólico de los objetos, piedras, plantas, animales, figuras geométricas, números, atributos mitológicos, expresiones de los hombres y fenómenos de la naturaleza, oportunamente elegidos en relación al destinatario.
A Egidio de Viterbo, por ejemplo, le es dedicado el libro XVII, relativo a la cigüeña, símbolo de piedad y vigilancia; a Achilles Bocchi el VII, sobre el ciervo, en el cual, remitiéndose a una discusión tenida con el propio Bocchi sobre aquella especie de hombres que en lugar de apreciar a los amigos sinceros son más sensibles a los aduladores, escribe: “Ya uno de los principales jeroglíficos y más apreciados por los egipcios era el del ciervo, que cuando querían significase la ceguera de juicio, dibujaban con una zampoña, para que preparando las tiendas, supiese el hombre de ingenio aquello de lo que primeramente debía alejarse” (Savarese-Gareffi, pp. 92-93). Así, a Jacopo Sannazo dedicó el libro XX sobre el fénix, con una interesante alusión a la inmortalidad de la poesía latina; a Sadoleto el XXI, sobre el azor símbolo de la rapacidad que cubría toda Europa, por más que se culpase de ello a la corte pontificia en particular, a Vittoria Colonna el XXII, sobre la paloma, símbolo de fiel introspección; a Angelo Colocci el XXIII, sobre el cisne, que, según el mito de Er, en la república platónica, fue el animal en el que reencarnó Orfeo, deviniendo así en metáfora del canto poético.
Al dar una organización sistemática a material tan vasto atendiendo a los campos más diversos, Valeriano apuntaba a la creación de un lenguaje constituido tan sólo por imágenes, confundiendo el significado del jeroglífico egipcio con los símbolos, en el sentido moral o emblemático. En su síntesis enciclopédica reavivó las páginas de Horapollo reuniendo las obras naturales, históricas y geográficas de Aristóteles, Eliano, Solino, Pausanias, Plinio el Viejo. El esfuerzo combinatorio del humanista parece querer conjuntar, en un auténtico y propio universo simbólico y artificial, todo el mundo antiguo, de Toth a Claudiano, de Hermes Trismegisto a San Agustín, mediante un “discurso mudo concebido en la mente a través de las imágenes de las cosas” (“mutam quandam orationem per rerum imagines mente concipiendam”).
La fortuna de esta obra se inscribe dentro del enorme desarrollo que la literatura y la teoría de las imágenes tuvieron en el curso del siglo (una difusión particular con los tratados ligados a las empresas y los emblemas), transformándose en un vehículo extraordinariamente veloz y eficaz de los problemas religiosos, morales y políticos.
Particular atención ameritó en Erasmo el “enigma sententiae” (“El enigma de la expresión”): «Si alguno conoce y penetra profundamente en la propiedades de las cosas singulares o en la esencia de la naturaleza particular de un animal cualquiera, podrá al fin, perdido en la conjetura de aquellos símbolos, alcanzar el sentido secreto de la expresión» (Erasmo de Rotterdam, Proverbiorum, Ferrariae, 1514, p. 154).

Floriana Calitti

Traducción libre al español por:
J. Francisco A. Elizalde
Julio, 2006.


En el artículo: “Ora un principal geroglifico appresso gli Egiziani era questo del cervo, che volendo significare questa cecità di giudizio dipingevano il cervo allettato dalla zampogna, accioché se cotali lacci ne fosser tesi, sapesse l’uomo d’ingegno quello che dovesse principalmente fuggire”.
En el original: “Præcipuum verò Cerui effe hieroglyphicu~ apud Aegyptios, vt fi hanc iudicij captiuitate~ indicare vellent, Ceruu~ fiftula illectu~ pingerent: vt fi quæ huiufmodi tendiculæ pararentur, haberet fcitus homo quod fibi proponerte præcipuè fugiendum”.
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Latín poético

Revisando algunas entradas de mis diarios viejos, encontré una frase que apunté hace poco más de trece años. Es de Horacio, citada en alguna página de algún libro que he olvidado.

Nox erat; et caelo fulgebat Luna sereno inter sidera minora.
[Rescatada el 16-VIII-1993, a las 8:47 p. m.]

Trad. lit:
Era de noche; y en el cielo resplandecía la Luna
sereno entre los astros menores.

Trad. libre:
Entre los astros menores la Luna refulgía en el cielo sereno: era la noche.
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Wednesday, December 13, 2006

EX

No sé hasta qué punto lo habré logrado, mas aquí va el ejercicio.

Salud.
Traducción quasi literal:
ex es ex - exactamente

Es día festivo.
Es día festivo y me encontré con el actual ex de una ex que dejó de ser actual simplemente porque no consiguió pasar de ser ex a actual. Siendo día festivo nunca me pasaría por la cabeza que un encuentro con el actual ex de una ex - ya no interesa si es actual o nó, esta ex, porque simplemente, siendo ex, deja de ser actual - me hiciese tener deseo de volver a no ser ex de la ex ni tampoco volver a ser el actual de una ex porque una ex es una ex, en el mismo sentido actual de un ex de esa ex.
Bien!
Como decía, es día festivo. Y en día festivo -como ya lo mencioné- el encuentro
:: o pudiera ser que todavía no me entiendan?= ::
fue fortuito y de tan fortuito, fue casi un ex encuentro -porque un encuentro que no lo es, es un ex encuentro luego de la partida.
En fin!
Siendo día festivo -y es!- estaba sentando hojeando el último ejemplar de 'Lecturas' a la orilla de un café -en este caso, en el instante en que me encontré con el actual ex de la ex, había un ex café, que se había enfriado de tan olvidado que estaba
:: es que, las cosas olvidadas -no necesariamente frías - pasan a ser ex::
allí bien al fondo de la taza - y se me apareció el actual ex con su actual - pero sin su actual ex - e, sin perime permiso, el cabrón, se sentó enfrente de mi ex café.
Hubiérase visto!
Y no por esto el día festivo pasó a ser ex...!
Y es que:Festivo es siempre festivo...!
Traducción libre:
Simplemente: ex ES ex

Es día libre.
Es día libre y me encontré con el actual ex de una ex que dejó de ser actual simplemente porque no consiguió pasar de ex a actual. Siendo día libre, no me pasaría por la cabeza que el encuentro con un actual ex de una ex - y ya no interesa si esta ex es actual o nó, porque simplemente, siendo ex, deja de ser actual - me hiciese tener deseos de volver a no ser el EX de la ex ni tampoco volver a ser el actual de la ex, porque una ex ES una EX, en el sentido actual del EX de esa ex.
Bien!
Como dije, es día libre. Y en el día libre - como ya lo mencioné - el encuentro
:: pudiera ser que aún no me explique? ::
fue fortuito y tan fortuito que fue casi un EX encuentro - porque un encuentro que no lo es, es un ex encuentro luego de la partida.
En fin!
Siendo día libre -y aún es!- me encontraba sentado hojeando el último ejemplar de "Lecturas" a la orilla de un café -en este caso, en el momento en que me encontré con el actual ex de la ex, era un EX café, que de tan olvidado que estaba ya se había enfriado
:: y es que las cosas olvidadas -y nó necesariamente frías- pasan a ser ex::
allá en el fondo de la taza - y se me apareció el actual ex con su actual -mas sin su actual ex - y, sin pedirme permiso, el cabrón se sentó enfrente de mi ex café.
Habráse visto!
Y ni con todo esto el día libre pasó a ser EX...!
Es que:
Día libre SIEMPRE es día libre...!

Alberto Monteiro. Traducciones: Greg.
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Anales del Ts’ook




El original de estos Anales del Ts’ook(1) fue hallado por el abate mexicano Mario Santiago el 7 de julio de 1997 (según consta en una servilleta encontrada entre sus ropas) en una excursión por Las Grutas de Xtacumbilxunaan(2) en Bolonchén y es un pequeño libro impreso en corteza de corcho y protegido por pieles de venado enmohecidas por el paso del tiempo, fue abandonado en el Palacio de Minería de la Ciudad de México el 10 de enero de 1998, día de la muerte de su descubridor, contiene caracteres antiguos traducidos por investigadores de la UNAM y fechados por la prueba del carbono 14: en el año 862 D.C. Narra parte de la historia de la desaparición de los mayas y contiene sólo fragmentos de algunos párrafos de su éxodo, debido principalmente a que el daño causado por los efectos del envejecimiento y la humedad lo volvieron casi completamente ilegible. Inexplicablemente el libro ha aparecido en la actualidad, custodiado por el Museo Art Institute de Chicago, Illinois, la servilleta todavía se conserva en la UNAM.

EL PRINCIPIO DEL TS’OOK


1. Aquí escribiré brevemente las palabras de nuestros últimos padres, [de] la ausencia del dios Cháak del retorno y la clemencia del dios Tepeu Kukumaz(3) conocido ahora como El Ma’atan(4) , todo inició en Calakmul(5) luego de un juego de pelota que duró 13 días en honor al dios Cháak y en [el] que se debía sacrificar a la princesa Nojki’ichpanil(6) hija de Tepeu Kukumaz lamentablemente lejos, por ir a apaciguar una guerra entre los habitantes del sur.


2. Justo antes del inicio del juego, Gagalvitz(7) con un tremendo grito advirtió a Tepeu Kukumaz sobre el riesgo que corría su hija, pero el dios no podía evitar sus deberes para detener la guerra así que mandó a Zactecauh[8] para salvar a la princesa. 3. El juego había terminado entre los guerreros Tojol-soots’(9) y Ts’íikt-s’aak(10) el primero murió en la piedra lisa sin exclamar ni un grito de dolor, aunque se sospecha que por ser hijo del Wáay(11) se le habría ungido con un brebaje adormecedor, el segundo huyó hacia la ceiba y tuvo que ser perseguido y ejecutado con lanzas para luego ser abandonado y servir como janal del balam y el ch’oom(12) en un lejano valle al que desde entonces se le conoce como Ch’upu xiib(13) su fuga causó la k’uux(14) de Cháak por lo que el k’iin(15) exigió la muerte de Nojki’ichpanil ya que sus hermosos gritos apaciguarían al dios. 4. Nojki’ichpanil iba ataviada con u nook’ sak pero al intentar atarla a la piedra Zactecauh apareció por los aires y en sorprendente vuelo la llevó hacia el sur con su padre. 5. Cháak nunca más volvió. LOS SUFRIMIENTOS POR LA VENGANZA DE CHÁAK 1. Luego de ello vinieron los 7 años de sequía y hambruna. 2. Las guerras terminaron y los hombres ya no tenían fuerzas para labrar ni para cazar ni para aparearse en ese tiempo no hubo concepción de hembra ni varón alguno.


3. Las enfermedades acabaron con los más débiles y con los sabios ancianos, no faltaba el choko pool(16) que se inmolaban con el filo de la obsidiana.

4. El Wáay [predijo que] la maldición duraría en total 13 años, para entonces desaparecerían todos los hombres, por lo que se reunió un consejo y salió hacia el sur una comitiva para implorar perdón y ayuda a El Ma’atan.

ÉXODO DEL PUEBLO

1. ”Habrá en verdad sufrimiento cuando vayamos a habitar nuestros volcanes” [dijo] El Ma’atan, oh hijos míos, no hay nada para comer, no hay con qué cubrirse, todo falta, ya ni corteza, ni hojas tienen los árboles y nuestros corazones se reposan a la sombra de nuestras lanzas.

2. La sequía había alcanzado también a los pueblos del sur, todos guiados por El Ma’atan bajaron a vivir [dentro de] la tierra.

3. Algunos comenzaron a vivir bajo el volcán de Tajumulco su boca fue la puerta de entrada al inframundo, otros más al de Pacaya y los restantes al Hunapú(17) .

4. Dentro de los volcanes construyeron viviendas, tomaron agua de los cenotes y ríos subterráneos y se alimentaron al principio con el verdín de la montaña y luego con peces y cangrejos.

5. Los últimos bajaron a la tierra por las diferentes grutas comunicadas ente sí, algunos por las de Xtacumbilxunaan otros por las de Loltún, por las de Actun Spukil o por las de Balalankanché y los rezagados usaron las de Tzabnhá.

DE CÓMO LOS NOBLES Y GUERREROS FUERON TRANSPORTADOS AL CIELO

1. Todos los nobles y guerreros fueron elevados hacia el Ka’an por medio de columnas de fuego, para permanecer allí por siempre.

2. Los nobles y guerreros [que se] negaron a viajar fueron convertidos en cenizas.

3. Al que pretendía el Tuus[18] el rayo divino le sacaba los ojos y le impedía entrar a los volcanes o a las grutas [de esta manera] surgieron los errantes ch’óop(19) .

4. El Ma’atan se casó con la princesa Nojki’ichpanil [su propia hija] para que ella perdiera su nobleza y juntos pudieran vivir bajo las grutas con los humanos.

LOS ÚLTIMOS SOBREVIVIENTES

1. Los que se negaron a bajar al inframundo fueron desmemoriados por una ya’axkach che’che’(20) creada por El Ma’atan [la cual] les picaba a los sobrevivientes y perdían la memoria.

2. [De esta manera] no podían escalar los volcanes ni recordar la entrada hacia las grutas.

3. Olvidaban la libido y no fecundaban... [a sus hembras]...

4. Los escasos sobrevivientes fueron los hijos de los errantes ch’óop [que se] guiaban por los gritos de las mujeres en brama y se alimentaban con ts’aa chu’uch(21) .

5. Los hombres del inframundo [han] cambiado el tono de su piel, ahora son los Xiib oot’el áayin(22) y esperan el momento propicio para volver a poblar la superficie de la tierra.
____________________________________________________________
1 Anales del final o del fin.
2 Dama escondida.
3 Kukulkán en su segunda venida.
4 Viudo, ya que su esposa maya había muerto en el parto.
5 Entre dos cerros.
6 De la gran belleza.
7 Volcán.
8 Ventisquero.
9 Murciélago valiente.
10 Veneno feroz.
11 Brujo.
12 Comida del jaguar y el zopilote.
13 Maricón.
14 Ira.
15 Sacerdote.
16 Loco
17 Nombrado así en honor de uno de los hijos gemelos de la doncella Ixquic: Hunapú e Ixbalanqué.
18 El engaño de hacerse pasar por noble o valiente guerrero.
19 Ciegos.
20 Mosca verde que depositaba su hueva bajo la piel humana, producía sueño, pérdida de memoria y alucinaciones.
21 Leche materna que las mujeres producían al parir a los hijos de los ciegos.
22 Hombres con piel de lagarto.

Escuchar Como han pasado los años - Mariachi Acapulco

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Monday, December 11, 2006

Un antiguo soneto



Soneto LXVI

¿Por qué mi verso luce sin nuevos ornamentos
Desprovisto de cambios o nuevas variaciones?
¿Por qué al rumbo de esta época no dirijo mi vista
Hacia métodos nuevos y mezclas más extrañas?

¿Por qué escribo siempre igual y siempre el mismo tema
Y revisto mi intención de ropajes tales
Que cada palabra va diciendo casi mi nombre
Revelando su origen y su procedencia?

¡Oh, amor! Sabe que yo sólo de ti sé escribir
Y tú y el amor son mi único argumento
Así todo lo que hago es vestir las viejas palabras
Para agotar nuevamente lo agotado

Pues así como el sol de cada día es nuevo y antiguo
Así es mi amor diciendo lo que ya ha sido dicho.


William Shakespeare
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Friday, December 08, 2006

ex é ex - exactamente

ex é ex - exactamente

É feriado.
É feriado e encontrei-me com o actual ex de uma ex que deixou de ser actual simplesmente porque não conseguiu mudar de ex para actual. Sendo feriado nunca me passaria pela cabeça que um encontro com um actual ex de uma ex – já não interessa se é actual ou não, esta ex, porque simplesmente, sendo ex, deixa de ser actual – me fizesse ter vontade de voltar a não ser ex da ex nem tão-pouco voltar a ser actual de uma ex porque uma ex é uma ex, mesmo sendo actual de um ex dessa ex.
Bem!
Como dizia, é feriado. É feriado e – como já vos disse – o encontro ::
            ou será que ainda não entenderam? ::
        foi fortuito e de tão fortuito, foi quase um ex encontro – porque um encontro que não o é, é um ex encontro logo á partida.
Enfim!
Sendo feriado – e é! – estava eu sentado a folhear o último exemplar da "Leituras" à borda de um café – neste caso, no momento em que me encontrei com o actual ex da ex, era um ex café, pois já estava frio de tão esquecido estava ::
            é que, as coisa esquecidas – não necessariamente frias – passam a ser ex ::
        lá bem no fundo da chávena – e apareceu-me o actual ex com a sua actual – mas sem a sua actual ex – e, sem me pedir licença, o cabrão, sentou-se em frente do meu ex café.
Olhem!
E não foi por isto que o feriado passou a ser ex!
É que:
Feriado é sempre feriado!
 
Alberto Monteiro
 
=====
No puede ni debe faltar el lado menos serio, o lúdico, en ningún espacio, en ningún proyecto.
Desandando caminos, encontré este post de Alberto Monteiro, acompañado por una fotografía más que sugerente, y aunque el texto es lúdico en el sentido pleno, literal y profundo de la palabra, su traducción cuenta con algunos escollos difíciles, el mayor: no perder la espontaneidad ni ese tono burlón y satírico, delicioso en la lengua original.
 
Más tarde, mi versión de este texto.
 
Greg.
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Thursday, December 07, 2006

Test

Palabra - glossa - word - parole - palavra - parola - [etc.]
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Suéltame los tigres

solta-me os tigres

aquele seu olhar vesgo que a pintava com uma inocência quase perversa, suplicava-me pasmado, “não vás!”. já me tinha esquecido do quanto me doía o ter que aceitar, acoitar uma existência triste e vadia, encarar a profunda mágoa cravada na súplica de um pesado olhar. e era terça-feira e às terças-feiras nada acontece de importante. e estávamos frente a frente, à distância de duas meias meias-de-leite frias e um prato com as migalhas do que sobrara daquela hora. e a cidade corria compacta lá fora como sempre, ignorando-nos. e não havia mais nada para dizermos um ao outro. e não me apetecia dizer nem “vou”, nem “fico”. e acabei por ficar. e era terça-feira e às terças-feiras nada acontece de importante.

***

Suéltame los tigres.

aquel su mirar pérfido* que la adornaba con una inocencia casi perversa, me suplicaba pasmado**, 'no te vayas!'. ya había olvidado cuánto me dolía tener qué aceptar, azotar una existencia triste y vacía, encarar la profunda amargura clavada en la súplica de un pesado mirar. era martes y los martes nada importante sucede. y estábamos frente a frente, a dos medias-de-seda a medias*** de distancia y un plato con las migajas de lo que sobrara en aquella hora. y la ciudad corría compacta allá afuera como siempre, ignorándonos. y nada más había para decirnos uno a otro. y no se me antojaba decir 'me voy' ni 'me quedo'. terminé quedándome. y era martes y los martes nada importante sucede.

*vesgo: vizco. Fig.: Pérfido, desleal.
**pasmado: el mirar pérfido, personalizado.
***meias meias-de-leite: juego de palabras. Lit.: medias medias-de-leche.

Traducción quasi literal, por Greg.
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Próximo ejercicio

2006-11-24

solta-me os tigres

aquele seu olhar vesgo que a pintava com uma inocência quase perversa, suplicava-me pasmado, “não vás!”. já me tinha esquecido do quanto me doía o ter que aceitar, acoitar uma existência triste e vadia, encarar a profunda mágoa cravada na súplica de um pesado olhar. e era terça-feira e às terças-feiras nada acontece de importante. e estávamos frente a frente, à distância de duas meias meias-de-leite frias e um prato com as migalhas do que sobrara daquela hora. e a cidade corria compacta lá fora como sempre, ignorando-nos. e não havia mais nada para dizermos um ao outro. e não me apetecia dizer nem “vou”, nem “fico”. e acabei por ficar. e era terça-feira e às terças-feiras nada acontece de importante.



Alberto Monteiro

http://pelalente.blogspot.com/2006/11/solta-me-os-tigres.html

http://www.albertomonteiro.com/
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Wednesday, December 06, 2006

El sitio de Gondor (fragmento)

Apareció el señor de los Nazgûl, cabalgando. Apareció como una enorme forma negra sobre las llamas, una ominosa señal de desesperanza. Cabalgó el señor de los Nazgûl por debajo del umbral que ningún enemigo había atravesado aún, mientras todos huían a su paso. Todos excepto uno; esperando en silencio, sereno, en el espacio antes de la puerta, montaba Gandalf sobre Mantogrís, aguantando el horror, inmóvil, impávido, cual si fuera una estatua tallada en Rath Dínen, único entre los corceles que aún trotaban libres sobre la tierra.
- ¡No puedes pasar! - dijo Gandalf, y la sombra negra se detuvo - ¡Regresa al abismo que te espera! ¡Retrocede! Húndete en el vacío reservado a ti y a tu amo. ¡Fuera!
El jinete negro hizo su capucha atrás, y ¡he aquí, que tenía una corona señorial! Pero ninguna cabeza la sostenía. Un fuego escarlata resplandecía entre los amplios y oscuros hombros cubiertos por la capa, y la corona. Una lúgubre carcajada surgió de una boca invisible:
- ¡Viejo estúpido! - dijo - ¡Viejo estúpido! Esta es mi victoria. ¿Acaso no reconoces a la Muerte cuando la miras? ¡Muere, y maldice en vano!
Y así, alzó por todo lo alto su espada, y la hoja llameaba. Gandalf no retrocedió. Pero en ese preciso momento, lejos, en algún jardín de la Ciudad, un gallo cantó. Era un canto límpido, que no respondía ni a la magia ni a la guerra, sino que recibía al amanecer en el cielo amplio, que se anunciaba sobre las penumbras de la muerte. Y, como si le respondiera, otro sonido se escuchó a lo lejos. Cuernos. Cuernos. Cuernos. En las laderas del sombrío Mindolluin resonaron sus ecos: el soplido de indómitos cuernos del Norte. Al fin habían llegado los de Rohan.


... traducción libre de Aira Castañeda, de la inmortal épica (¿qué épica no lo es, "mientras la luna siga brillando"?) de J.R.R. Tolkien, El señor de los anillos

Este es el fragmento original:

In rode the Lord of the Nazgûl. A great black shape against the fires beyond he loomed up, grown to a vast menace of despair. In rode the Lord of the Nazgûl, under the archway that no enemy ever yet passed, and all fled before his face. All save one. There waiting, silent and still in the space before the Gate, sat Gandalf upon Shadowfax: Shadowfax who alone among the free horses of the earth endured the terror, unmoving, steadfast as a graven image in Rath Dínen. “You cannot enter here,” said Gandalf, and the huge shadow halted. “Go back to the abyss prepared for you! Go back! Fall into the nothingness that awaits you and your Master. Go!” The black rider flung back his hood, and behold! he had a kingly crown; and yet upon no head visible was it set. The red fires shone between it and the mantled shoulders vast and dark. From a mouth unseen there came a deadly laughter. “Old fool!” he said. “Old fool! This is my hour. Do you not know Death when you see it? Die now and curse in vain!” And with that he lifted high his sword and flames ran down the blade. Gandalf did not move. And in that very moment, away behind in some courtyard of the City, a cock crowed. Shrill and clear he crowed, recking nothing of wizardry or war, welcoming only the morning that in the sky far above the shadows of death was coming with the dawn. And as if in answer there came from far away another note. Horns, horns, horns. In dark Mindolluin’s sides they dimly echoed. Great horns of the North wildly blowing. Rohan had come at last.
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Tuesday, December 05, 2006

María y el cinturón (Relato anónimo medieval)




En los inicios del S. IX vivió María Martel. Nacida en el condado de Barcelona, sufrió la orfandad materna. Su padre, el señor de Martel, connotado matemático, fue solicitado por Alcuino para sumarse a la Aix-la-Chapelle, la escuela de Aquisgrán, y ante la imposibilidad de llevarla consigo en virtud de que los estudiantes eran sólo hombres nobles y jóvenes, decidió ponerla al cuidado de los sirvientes. Habiéndole prometido un pronto encuentro en Francia en cuanto le encontrara un buen marido, se despidió de su hija sellando su castidad, acto vergonzoso aunque necesario. Las lágrimas invadieron furiosas el rostro incrédulo de la joven por tener que portar en su púber cuerpo ese armatoste frío, amenazador.


A través de la ventana vio marchar a su padre con la castidad de ella en el bolsillo izquierdo. María pensó ir en su busca, si era preciso darle muerte para quitarle la llave y una vez liberada entregarle su castidad a todos esos nobles que, seguramente, fingían interés por las ciencias y el conocimiento. Se miró al espejo. Se quitó el camisón y palpó el cincho. Lo acarició como una señal de venganza contra su padre. Se acarició ella misma. Se acostó boca abajo, presionó suavemente la pelvis contra el hierro: la sensación fue diferente a la que le provocaban sus pequeños dedos durante las noches febriles de insomnio. Sobrecogida presionaba cada vez más, acompasada, repetidamente; la humedad llegó hasta las mantas. Ella juntó y apretó las piernas. Por primera vez no mordió sus labios para callar. María comprobó que la pieza de hierro ya no era tan incómoda ni fría. María se asumió como la nueva señora de Martel. Despidió a todas las sirvientas de la villa y se hizo acompañar a los paseos por sus sirvientes. Ellos la alimentaban y la vestían. Durante el baño le ofrecía su cuerpo a alguno y le permitía gozar de todo lo que no cubriera el metal, así como ella gozaba de los cuerpos masculinos que en la noche entraban a su habitación y a los cuales ofrendaba su boca y su canal rectal para que depositaran sus miembros e hiciesen de ella todo lo que, suponía, no sería del agrado de su padre. Por todo esto sus criados permanecían complacidos, fieles y silenciosos a pesar de que ya no eran los únicos, pues invitados y extraños visitaban la villa.


En más de una ocasión se ofrecieron a despojarla del cincho, pero María se negaba diciendo que tal acto era derecho de su padre o de su futuro marido. Sin embargo lo que no quería era prescindir de los gozosos orgasmos que el cinturón era capaz de proveerle en cualquier momento.


Vivió entregándose al placer hasta la edad de trece años en que su padre la llamó desde Francia con la intención de desposarla con el hijo de un conde que era su discípulo en el cuadrivium. No obstante, María pidió que la boda fuera austera, privada y en su tierra natal a la que acudió el susodicho pretendiente. Se realizaron las nupcias y en la noche de bodas una horda de amantes furiosos la defendió del intruso, a quien dieron muerte tras arrancarle la llave del cinturón.


A pesar de tener en sus manos la posibilidad de liberarse, María se negó. Siguió con su vida sin que su padre se enterara del incidente. Murió a los dieciocho años, viuda y casta.

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Thursday, November 30, 2006

Ezra Pound

Carmen XVIII

Salve niña, ni de nariz mínima
ni pie gracioso ni negros ojuelos,
ni dedos largos ni correcta boca,
ni, en verdad, mucho de elegante lengua,
amiga del Formiano manirroto:
Que tú eres bella, la provincia narra?
Contigo nuestra Lesbia es comparada?
Oh siglo ignorante y maleducado!

Catulo (87?-54? a. C.)

Cármenes, versión rítmica de Rubén Bonifaz Nuño, México, UNAM, 1969, 26.
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Tuesday, November 28, 2006

Banner número uno

Mientras diseño el banner de cabecera, vá el botón-gif...



El código pueden consultarlo aquí.


Salud.

Greg.
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Saturday, November 25, 2006

Natália Correia: La Víspera del Prodigio! - IV [Traducción literal]

Ó Véspera do Prodígio! - IV

«creio nos anjos que andam pelo mundo,
creio na deusa com olhos de diamantes,
creio em amores lunares com piano ao fundo,
creio nas lendas, nas fadas, nos atlantes;

creio num engenho que falta mais fecundo
de harmonizar as partes dissonantes,
creio que tudo é eterno num segundo,
creio num céu futuro que houve dantes,

creio nos deuses de um astral mais puro,
na flor humilde que se encosta ao muro,
creio na carne que enfeitiça o além,

creio no incrível, nas coisas assombrosas,
na ocupação do mundo pelas rosas,
creio que o amor tem asas de ouro. amém.»

Natália Correia


La Víspera del Prodigio! - IV

Creo en los ángeles que andan por el mundo,
creo en la diosa con ojos de diamantes,
creo en amores lunares con piano al fondo
creo en leyendas, en hadas, en atlantes;

creo en el ingenio que falta -mas fecundo-
de armonizar las partes disonantes,
creo que todo es eterno en un segundo,
creo en un cielo futuro que tuve antes,

creo en los dioses de un astral más puro,
en la flor humilde que se apoya en el muro,
creo en la carne que enfatiza el más allá,

creo en lo increíble, en las cosas asombrosas,
en la ocupación del mundo por las rosas,
creo que el amor tiene alas de oro. Amén.


La traducción literal pudiera ser la 'más sencilla', palabra por palabra de un idioma a otro, el poema no pierde su encanto del todo: hay frases que contienen toda su fuerza y expresión una vez traducidas, aunque algunos versos resultan 'vacíos' en función de la sintaxis empleada en el español.

Versos que conservan su sentido y efecto originales:

1, 2, 4, 5, 6, 7, 8, 10, 11, 12 y 14.

El verso 3 al verterse en español deja inoperante el modismo 'com piano ao fundo', el sujeto propio del verso, los "amores lunares", al dejarse la preposición 'ao' intacta, dá por resultado 'al', cambiando el sentido primero de 'com piano ao fundo" como ambientación, a una determinación -o delimitación- espacial.

El verso 9 ofrece un problema más sutil: la sintaxis en el original sobreentiende el sustantivo "cuerpo", dejando 'astral' como adjetivo sustantivado, y refinado por el 'mais puro', que funge de modificador directo de cantidad.

El verso 13 ofrece un verbo incómodo, en la traducción literal cambia el sentido original de 'invasión' como acción de tomar a la fuerza, trocándolo por 'rellenar' que tiene más connotaciones de incremento dentro de un vacío físico limitado.

Y una última nota sobre el verso 5: si bien la traducción puede hacerse literalmente sin desmerecer la sintaxis original, en español la supresión de los guiones medios supondría una lectura más difícil, con exigencias intelectuales absurdas en la lectura de este poema.

Greg.
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Friday, November 24, 2006

Punctualitationes

Pido disculpas a quienes han estado esperando más noticias sobre este proyecto... al parecer varios de los interesados también andan faltos de tiempo para responder las invitaciones que les he enviado. Por mi parte, apenas si he podido revisar correo y demás... con todo y mi nivel de adicción al internet por debajo de lo 'normal' según los tests que contestamos -al menos Luda y yo- me he sentido un poco ansioso de poder ampliar los horizontes de lo que aquí se pretende.

La traducción es labor compleja, sabemos que conlleva una adaptación de moldes culturales para que encajen dentro de otros moldes sin resultar forzados. Esta sería una delimitación muy general.

Existen traducciones diversas: literales, conceptuales, de índole personal -pensemos en los apuntes de eruditos como García Icazbalceta-, 'libres' o con distintas licencias permitidas al -o exigidas por el- traductor. También cabría tangencialmente incluir las paráfrasis.

Entonces lo que se propone es hablar y compartir libremente cualquier aspecto sobre la traducción de textos, en la forma que se crea conveniente.

Al tomar un texto, sería ideal compartir qué aspectos de la traducción se tendrán en cuenta para un trabajo determinado: las aproximaciones a los vocablos originales, la problemática de frases modales o intraducibles y su adaptación al idioma destinatario, la decisión de elegir una forma sintáctica sobre otra.

En fin, se trata, más que nada, de poner al alcance de los demás las distintas metodologías que solemos tener afianzadas y llevamos a cabo de forma automática, cuando nos encontramos ante un texto que no está redactado o escrito en nuestra lengua madre. Y hablamos de metodologías también entendidas como manías... los traductores geniales tienen una personalidad que, invariablemente, queda reflejada en el texto sobre el que han trabajado.

Gracias por el interés... espero que el ejemplo del poema que elegí para 'trabajar' despeje un poco más las incógnitas.

Recuerden que sigue abierta la invitación a los lectores interesados que deseen contribuir de alguna manera con este espacio.

Greg.
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Thursday, November 16, 2006

Contacto para agregarles como miembros del equipo

Pues bien, espero estén interesados por este pequeño proyecto.

Infinidad de razones habrán para no participar, mas con una sola que haya, por mínima que sea, para participar, sé que podrá salir algo bueno de estos posts.

Necesito, empero, la dirección de correo correspondientes a sus blogs, para poder agregarlos como miembros de este espacio.

Simitrio, Luda, Aïeux, Aldán, Mario Pozo, Capanegra... pueden enviarme/confirmarme su dirección de correo a mi dirección de correo personal y de batalla: Greg. Envíenme un correo a esta dirección, e inmediatamente les enviaré la invitación del blogger para participar en este espacio.

Saludos.

Greg.
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Natália Correia

Este poema es el causante. Puede verse también como entrada aparte, en el Quodago.

«creio nos anjos que andam pelo mundo,
creio na deusa com olhos de diamantes,
creio em amores lunares com piano ao fundo,
creio nas lendas, nas fadas, nos atlantes;

creio num engenho que falta mais fecundo
de harmonizar as partes dissonantes,
creio que tudo é eterno num segundo,
creio num céu futuro que houve dantes,

creio nos deuses de um astral mais puro,
na flor humilde que se encosta ao muro,
creio na carne que enfeitiça o além,

creio no incrível, nas coisas assombrosas,
na ocupação do mundo pelas rosas,
creio que o amor tem asas de ouro. amém.»

Natália Correia
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Tradutore Tradittore - Invitación abierta

No sé cómo resulte esto, tampoco quiénes se apuntarán, y cómo se desarrollará este proyecto. Pienso en Luda, Aïeux, Simitrio, MarioPozo, Aldán, Capanegra...

Qué cabe en este post es lo que se irá definiendo conforme progrese, quizá no viva más allá de este primer post, quizá persista como un buen ejercicio.

Traducción en todos sus aspectos: literales, ideológicos, libres, sentimentales, conceptuales y demás, ejercicios sin ínfulas de traducciones finales, maestras o definitivas, y claro, puesta en práctica de teorías y metodologías aprendidas.

Idiomas primigenios y finales abiertos: inglés, latín, griego, portugués, francés, italiano, copto, alemán, náhuatl, esperanto... no hace falta ser un experto, sólo tener un amor verdadero y profundo por el texto original.

La extensión de los textos es lo de menos, puede ir desde una frase o palabra [sí, palabras individuales súmamente espinosas, como la palabra inglesa "lovable" que, quien la traduzca al español por su correspondiente 'amable' estará cometiendo aberraciones], hasta poemas o cuartillas enteras.

Quede abierta esta invitación, con un primer intento para calentar motores: un poema.

Salud.

Mr. Greg.
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